Ristrutturare dividendo o unendo appartamenti: in meno tempo e risparmiando

Ristrutturare dividendo o unendo appartamenti: in meno tempo e risparmiando

Ristrutturare dividendo o unendo appartamenti: in meno tempo e risparmiando

Grazie alle novità introdotte dallo Sblocca Italia chi vuole dividere o unire immobili, senza modificarne la volumetria, avrà notevoli risparmi di tempo, energia e denaro. Vi spieghiamo quali sono.


Ristrutturare casa, dividendola per ricavare un altro appartamento o unirne due attigui, diventa più semplice, rapido ed anche economico grazie alle novità introdotte dal Decreto sblocca Italia (Decreto legge n. 133/2014).


Da oggi gli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari, a condizione che non modifichino parti strutturali dell’edificio, costituiscono semplice “manutenzione ordinaria” e come tali possono essere eseguiti semplicemente presentando la Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) al Comune, insieme al progetto, entrambi redatti da un tecnico abilitato. Quindi non occorre più il classico “permesso di costruire” e l’intervento può partire immediatamente.


Gli unici vincoli da rispettare sono di non modificare la volumetria complessiva degli edifici e né la destinazione d’uso, trasformando per esempio una casa in un ufficio.


Quando i lavori saranno ultimati si potrà inviare al Comune anche una comunicazione di fine lavori, valida ai fini dell’accatastamento. Non dovrà più essere il cittadino che deve provvedere all’aggiornamento catastale, ma il Comune deve inoltrare tempestivamente e direttamente, quanto necessario, ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate per il nuovo accatastamento dell’ immobile trasformato. Un risparmio quindi di tempo e di energia ma anche di costi. Eseguendo gli interventi di frazionamento o accorpamento, poi, non si paga il contributo di costruzione.


Tutte le informazioni e le risposte ai dubbi più frequenti in merito alle novità introdotte dallo “Sblocca Italia” sono consultabili on line e gratuitamente dal sito del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, dedicato alla casa, www.casa.governo.it.


Acquisto casa: certificati di agibilità, conformità degli impianti e certificazione energetica

Che cosa sono questi certificati? Quando è obbligatorio rilasciarli? E perché? Ecco tutte le informazioni utili da sapere quando si procede all’acquisto di un immobile.


Quando si decide di acquistare una casa, oltre ai gusti personali l’acquirente deve prestare particolare attenzione alla vivibilità dell’immobile. Che cosa significa? In sostanza che l’immobile da acquistare abbia alcune caratteristiche tali da renderlo sicuro ed anche efficiente dal punto di vista energetico. Tra i vari documenti richiesti dal futuro acquirente al venditore troviamo quindi le certificazioni di agibilità, sicurezza (che non sono obbligatori per legge) ed efficienza energetica (che invece è obbligatorio).


L’agibilità di una casa indica che l’immobile rispetta le normative, nazionali e locali sulla sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati. Se l’immobile non ha queste caratteristiche non potrà essere abitato. Il futuro acquirente può chiedere al venditore, fin dal momento della stipula del contratto preliminare e in ogni caso al momento del contratto definitivo di compravendita, che gli venga esibito e consegnato il certificato di agibilità. Se manca il certificato o comunque l’immobile non presenta caratteristiche tali da assicurare la sicurezza, si può chiedere la risoluzione del contratto con obbligo da parte del venditore di restituire il prezzo e di risarcire i danni, se sussistenti. Non è un certificato obbligatorio per legge, ma una buona prassi per l’acquirente onde evitare spiacevoli sorprese in un secondo momento.


Tuttavia ci sono dei casi specifici che prevedono il rilascio da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale del certificato di agibilità dell’immobile. In particolar modo quando l’immobile è di nuova costruzione, ricostruzione o sopraelevazione, ovvero di interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di agibilità dell’immobile, è il proprietario che deve chiedere il rilascio del certificato di agibilità. La domanda deve essere presentata entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori, insieme ai documenti previsti dalla legge, come i certificati di conformità degli impianti che rilasciano le imprese installatrici, e, ove previsto, il certificato di conformità alle norme antisismiche.


Una volta presentata la domanda all’ufficio comunale competente, è il dirigente o responsabile comunale che deve adottare un provvedimento espresso entro 30 giorni. Decorsi 30 giorni dalla presentazione della domanda, senza alcuna risposta da parte dell’amministrazione comunale, vale il principio del “silenzio assenso”. Si deve però anche attendere il parere dell’ASL e se entro 60 giorni questo parere non arriva, il silenzio dell’ente vale come assenso. Il proprietario ha come prova dell’agibilità il deposito della domanda da presentare all’acquirente al momento della stipula del contratto di compravendita.


Si è detto poc’anzi che la domanda per il rilascio del certificato di agibilità deve essere corredata da una serie di documenti, tra cui ritroviamo il certificato di conformità degli impianti. L’impianto elettrico, di riscaldamento, di distribuzione del gas, l’impianto idrico e di scarico, l’ascensore, l’impianto d’antenna, l’impianto parafulmine, l’impianto antifurto e antincendio devono essere conformi alle norme di sicurezza previste per legge al momento della costruzione dell’immobile.


Per l’impianto elettrico, si deve fare però una distinzione in seguito all’entrata in vigore della legge 46/90 che prevede l’obbligo di realizzare a regola d’arte gli impianti negli edifici. Così gli immobili costruiti dopo il 13 marzo 1990 (data in cui è entrata in vigore la legge) devono avere gli impianti eseguiti secondo la regola dell’arte. A regola d’arte significa che un impianto elettrico è munito sia dell’interruttore differenziale che dell’impianto di terra coordinato, ed ha le componenti impiantistiche e gli apparecchi utilizzatori in buono stato di manutenzione. L’impianto di terra è quindi obbligatorio nelle abitazioni costruite dopo il 13 marzo 1990. Per quelli anteriori, era necessario eseguire alcuni adeguamenti minimi come l’installazione del cosiddetto “salvavita” e la sostituzione delle prese esistenti con quelle di sicurezza, che impediscono ad oggetti metallici sottili di venire in contatto con le parti interne in tensione.


Di solito sono le imprese abilitate a installare gli impianti a rilasciare il certificato. Può accadere che per l’immobile che si vuole vendere i certificati sono stati persi o anche che non sono stati rilasciati. Cosa fare? In questi casi e solo per gli impianti eseguiti prima dell’entrata in vigore del D.M. 37 del 2008 il certificato è sostituito da una dichiarazione di rispondenza, in cui si attesta che, in esito a sopralluogo ed accertamenti, gli impianti sono conformi alla normativa in vigore al momento della loro realizzazione. Come per il certificato di agibilità, anche quello di conformità degli impianti non è obbligatorio nell’iter per la stipula della compravendita, ma è una buona prassi che le parti devono attuare sia per il venditore per non vedersi poi contestare in un secondo momento dall’acquirente la presenza di difetti o di impianti obsoleti, sia per l’acquirente onde evitare spiacevoli sorprese dopo l’acquisto della casa.


Un altro importante certificato richiesto obbligatoriamente dalla normativa nazionale è la certificazione energetica degli edifici. In origine era l’ACE (Attestato di Certificazione Energetica) poi sostituito dall’APE ( Attestato di Prestazione Energetica), il certificato che informa sulle qualità energetiche dell’edificio. Ha durata di 10 anni e classifica gli immobili in varie classi di efficienza energetica, dalla “A+” quella più alta alla “G”, la più bassa.


A misurare le qualità energetiche dell’immobile deve essere un tecnico abilitato che redige l’APE. Negli annunci di vendita o anche di locazione, si deve riportare l’Ipe, l’Indice di prestazione energetica e la classe energetica di riferimento contenute proprio nell’Ape. Durante la trattativa per la vendita della casa, quindi già durante la stipula del compromesso, il venditore deve rendere disponibile al potenziale acquirente l’attestato di prestazione energetica e lo consegna solo al momento della conclusione della vendita. In base al decreto legge n.63/2013, che ha sostituito l’ACE con l’APE, sono nulli i contratti di compravendita, donazione e nuovi contratti di locazione senza l’allegazione dell’APE, a far tempo dal 6 giugno 2013. In caso di vendita inoltre si prevede che il proprietario che viola l’obbligo di dotazione dell’attestato di prestazione energetica è punito con una sanzione di importo variabile da 3mila a 18mila euro.


In seguito però il decreto “Destinazione Italia” ha previsto una sanatoria per quei contratti stipulati tra il 4 agosto e il 24 dicembre 2013 che sono stati dichiarati nulli per la mancata presenza dell’attestato energetico: la nullità è sanata pagando la sanzione e allegando l’APE. Così lo stesso decreto ha anche stabilito che la compravendita (così anche il contratto di locazione) che è stata stipulata senza allegare l’APE è comunque valida se l’attestato viene consegnato entro 45 giorni. Altrimenti scatta la sanzione.


Dichiarazione Tasi, istruzioni e scadenza 2015

Mentre è già iniziato il conto alla rovescia per il pagamento del saldo Tasi di dicembre, almeno per quanto riguarda la dichiarazione i contribuenti possono dormire sonni tranquilli. La scadenza è infatti per il 30 giugno 2016. Ma vediamo chi deve presentare la dichiarazione Tasi 2015 e quali sono le modalità.

Dichiarazione tasi 2015: chi deve presentarla


A differenza di quanto accade con la dichiarazione Imu, non è ancora chiaro in quali casa va adempiuto l’obbligo dichiarativo, considerando che si tratta di un tributo diviso tra proprietario e inquilino. Mentre infatti i proprietari sono in un certo senso già “coperti” dalla dichiarazione Imu, il problema sorge per chi utilizza l’alloggio.


A questo proposito le Finanze hanno chiarito che la dichiarazione non deve essere presentata nel caso in cui il Comune abbia previsto particolari adempimenti formali come, ad esempio, la consegna del contratto di locazione, o la presentazione di un’autocertificazione. Questo lascerebbe l’adozione della dichiarazione ai soli casi residuali, per i quali il Comune non è ancora a conoscenza di tali informazioni.

Modello dichiarazione Tasi


Anche per quanto riguarda il modello da utilizzare, la situazione non è del tutto chiara. Esiste infatti una divergenza di opinioni tra l’ifel (Anci) e il Ministero delle Finanze. Mentre quest’ultimo ritiene si possa utlizzare lo stesso modello Imu, nella parte relativa alle “Annotazioni”, la fondazione Anci consiglia ai consumatori di prentare la dichiarazione sul modello appositamente predisposto dai Comuni.


A questo proposito è importante ricordare che ogni Comune ha adottato delle regole diverse. Alcuni infatti hanno predisposto un modello apposito, altri fanno riferimento a un ancora inesistente modello ministeriale, altri ancora consentano l’utilizzo del modello Imu.


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